27 - 28 Luglio 2018


OJOBOCA
Some Common Fascinations

OJOBOCA

SOME COMMON FASCINATIONS

Rassegna a cura di Giuseppe Boccassini

 

Venerdì 27 e sabato 28 luglio 2018, a partire dalle ore 21, nell’ambito della sedicesima edizione di Avvistamenti (non) è un Festival, organizzata dal Cineclub Canudo con la direzione artistica di Antonio Musci e Daniela Di Niso e realizzata con il sostegno dell’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia, la collaborazione di Apulia Film Commission e il patrocinio del Comune di Bisceglie, si svolgerà la sezione Made in Berlin del (non) festival. Si tratta della rassegna monografica su OJOBOCA, intitolata Some Common Fascinations, a cura di Giuseppe Boccassini, filmaker sperimentale e fondatore dell’appuntamento di cinema sperimentale Fracto, che si svolge da due anni a Berlino. OJOBOCA è lo pseudonimo dietro cui si celano i due filmmaker Anja Dornieden e Juan David González Monroy, entrambi residenti a Berlino. Lavorano assieme dal 2010 e praticano l’Orrorismo, un metodo simulato di trasformazione dal dentro al di fuori. Sono attualmente membri di LaborBerlin, un laboratorio filmico gestito da artisti. Per i due artisti berlinesi, affermati in numerosi e importanti festival internazionali in tutto il mondo, sarà la prima volta che partecipano e mostrano i propri lavori in Puglia.

 

Il programma della monografica è tutto all’insegna della pellicola 16mm e prevede infatti una prima serata, il 27 luglio alle ore 21, presso il Palazzo Tupputi – Laboratorio Urbano in via Cardinale Dell’Olio a Bisceglie, interamente dedicata alle proiezioni in pellicola di tre lavori: The Skin is Good (16mm, 12 min, 2018), Heliopolis Heliopolis (16mm, 26 min, 2016), Comfort Stations (16mm, 26 min, 2018). Saranno presenti gli autori che parteciperanno a un incontro/dibattito col pubblico in sala, moderato dal curatore, Giuseppe Boccassini.

 

Il secondo giorno, il 28, sempre alle 21, presso il Chiostro di Santa Croce, dove ha sede la Biblioteca Comunale, in via Giulio Frisari, sarà la volta della performance per due proiettori 16mm modificati e un sintetizzatore, intitolata Images We Used to Make (2018, 16mm, 30 min), mai eseguita prima da OJOBOCA, un’anteprima assoluta in esclusiva per Avvistamenti. Il pubblico sarà invitato ad attraversare lo spazio delle proiezioni, creando una esperienza unica di fruizione/immersione nell’opera performativa dei due autori. Le due serate della rassegna sono a ingresso libero.

 

Come scrive il curatore della rassegna, Giuseppe Boccassini, «Evidente nel loro universo l’interesse, da una parte, verso figure quali il beginner, l’amateur, il ragpicker, intesi come agenti di dislocazione, contraffazione e derisione della Storia, i loser, e dall’altra, in misura complementare, verso gli scenari cinematografici del mockumentary, beffardo ribaltamento di vérités et mensonges, del foundfootage come oggetto di scarto, orfano e anonimo, e infine dell’horror, trasognata deriva amniotica, non luogo sommerso da avita e abbagliante oscurità (Heliopolis Heliopolis)».

 

«Nei film di OJOBOCA lo spettatore, interpellato vis-à-vis dalla presenza di una voce fuori campo, ostinatamente seducente e dallo scorrere automatico di titoli dattilografati e cartelli esplicativi, compie un’esperienza di metamorfosi, convitato ad effluire trascendentalmente nelle pieghe demoniache del sensibile, fragranza (The Skin is Good, 2018) transeunte, o come scritto in Heliopolis Heliopolis a proposito della geologia del fuori :

 

…in canali di scolo, in attesa degli escrementi dei residenti, come melma schifosa che sbrodola dalle fauci spalancate di bestie».

 

«OJOBOCA, estensione dell’occhio per mezzo della bocca, come orifizio del retto, punto di fuoriuscita, non fagocitante ma rigettante, anti-autoritario, si enuncia in forme meccanico-demoniache e agamiche, prima come simulacro orale (Heliopolis Heliopolis, 2017), musicale (Comfort Stations, 2018) e parola dattilografata (The Skin is Good, 2018). L’enunciatario si fa enunciato – erutta in un modesto screditarsi secondo Heliopolis Heliopolis – abbandonandosi lealmente all’oppressione dell’interlocuzione e così facendo diventa materia mentale, scompare demistificandosi, tracima dalla sfera del suo universo interiore, rivolta il dominio della Storia che al contrario esaurisce il carattere sensibile dell’oggetto, parlandone».

 

 

27 LUGLIO – Ore 21.00

Laboratorio Urbano Palazzo Tupputi
Via Cardinale Dell’Olio


Proiezioni

 

The Skin is Good [16mm, 12 min, color, 2018]

Il demone della pelle è un estraneo. Egli ci manda strani messaggi (e un applicativo). Nell’ultimo messaggio il demonio della pelle dice: Cerca di essere pelle demoniaca per un momento. In che senso ? Bene, per essere un demone della pelle si deve fare appello al suo Demonio. Per farlo apparire si devono recitare le preghiere della pelle (in allegato). Prima di dire le preghiere della pelle, bisogna avere controllo del ricettacolo della pelle (applicativo). Ma i ricettacoli della pelle non devono mai essere toccati. Questi sono oggetti mentali. Si può solo interagire con i ricettacoli della pelle attraverso i sensi mnemonici. Come si ricorda qualcosa che non è stato mai esperito fisicamente ? Il demone della pelle ricorda il futuro. Nel futuro, egli ricorda che il demone della pelle ha già visto il Demonio della pelle. Nel futuro, egli ricorda che il demone della pelle, ha già toccato il Demonio della pelle. Nel futuro, egli ricorda che il demone della pelle e il Demonio della pelle sono la stessa cosa perché nel futuro il demone della pelle non avrà occhi e il Demonio della pelle non avrà mani e ora il Demonio della pelle può toccare quello che il demone della pelle vede, e il demone della pelle può vedere quello che il Demonio tocca. Ma ciò che il Demonio delle pelle tocca e quello che il demone della pelle vede, svanisce dalla memoria una volta visto e toccato. Nel futuro, egli ricorda che il demone della pelle ricorda che i sensi sono stati dimenticati. Questo senso è marcato da una traccia. La traccia è una fragranza. Nel futuro ricorda, può essere che tu ricorderai questa fragranza, e se sarai fortunato, la dimenticherai pure.
Abbiamo fatto questo film per te, demone della pelle. Che ne pensi?

 

Heliopolis Heliopolis [16mm, 26 min, color, 2016]

Stando all’egittologo amateur, I. I. Pearson, Heliopolis Heliopolis era il nome di un simulacro metropolitano ideato come strumento di prova per pianificazioni urbane presso la NoUn, Scuola di Architettura in Egitto, nel terzo secolo prima di Cristo. Nel suo blog, “Città segrete dell’Antico Egitto” Pearosn scrive: Heliopolis Heliopolis fu creato da un prete ribelle, il cui nome è andato perduto, come strumento per preparare gli studenti al progetto di una città rivoluzionaria che sorpassasse quello previo dell’antica città di Heliopolis. Tutto ciò a discapito del fatto che pare gli studenti e il prete non avessero mai visitato Heliopolis e che fondassero il loro pensiero architettonico solo su letture e varie conoscenze posticce. Fondamentalmente, ciò divenne motivo di orgoglio nella scuola e la descrizione di Heliopolis assunse una connotazione fantastica , diventando una sorta di elaborazione meticolosa ampiamente implausibile. Come questo simulacro fosse usato da modello educativo è diventato motivo di forte discussione tra gli esperti. Il ricercatore J. J. Dummings propone la tesi che Heliopolis Heliopolis fosse un labirinto nel quale, sempre stando a lui, gli studenti venivano spediti, bendati, nudi e coperti da grasso di anatra. Il loro scopo era quello di trovare i modelli dei principali templi della città e distruggerli. Per attuare ciò gli studenti avrebbero dovuto usare i loro corpi come torce. Per sostenere la sua tesi, egli usa due dettagli. In primi, il fatto che Heliopolis avesse preso il nome, dal greco città del sole, in considerazione della presenza in quel luogo di Ra, dio del sole appunto, e poi, facendo fede sulla sua traduzione originale , considerando quello che si trova scritto in un passaggio di un reperto : il proposito della simulazione era quello di “oscurare la luce”. La mia personale ricerca mi spinge a credere che Heliopolis fosse non un labirinto ma bensì una torre molto alta, e fosse circondata da ripidissimi scalini, alla cui sommità si erigeva un tempio rappresentante il sole. Durante la salita gli studenti portavano strumenti primitivi, che una volta in cima, avrebbero usato per costruire una grande luna meccanica, La luna avrebbe creato una eclissi permanente, la cui ombra avrebbe completamente coperto il tempio (seguendo la mia traduzione del passaggio) “oscurandone la luce”. Ora, date la loro storie personali, le posizioni riguardo la verosimiglianza di queste interpretazioni sono fortemente divise nel contesto della scena dilettantistica dell’egittologia. Appatentemente Pearson e Dummings sono stati sposati ma lui la lasciò per un’amica in comune, l’ egittologa amateur e collega K.K. Apfelbaum. Dopo aver osservato da vicino le loro testimonianze online, gli argomenti si riducono a questo: lui accusa lei di avergli soffiato l’idea e lei lo accusa di avercela con lei per non averlo riaccolto una volta scoperto il suo tradimento forzandolo a confessare. E’ scontato dire, che al momento, entrambe le fazioni, perseguono nel racconto delle verità a riguardo de significato di Heliopolis Heliopolis. Sebbene avessimo considerato di creare delle versioni di Heliopolis Heliopolis concordi con ognuna delle singole interpretazioni, era lontano dalle nostre intenzioni il ricreare un concreto facsimile del labirinto o della torre. Pertanto, seguendo le evidenze delle interpretazioni, abbiamo creato una nostra personale simulazione attraverso un assemblaggio audiovisivo. E’ concepito così: il modello non fu mai realmente creato ma fu usato durante il rituale per indurre ad uno stadio di trascendenza mentale, In questa foschia allucinatoria, gli studenti si ammagliavano immaginando una città, che non ricordasse ne un labirinto ne una torre ma un complesso acquatico senza fine, nel quale i templi, come delle isole, ci fluttuavano. Ogni isola è fatta di luce pura, e gli studenti devono trasformarsi nell’ombra dell’isola stessa, inghiottiti nell’oscurità e nel suo abisso interno (seguendo la nostra traduzione) “rivelandone la splendente oscurità”.

 

Comfort Stations [16mm, 26 min, color, 2018]

Tutto il materiale è stato trovato. Da quello che abbiamo potuto raccogliere, esso è costituito da una sorta di test psicologico. Una coppia, apparentemente di non professionisti , ha creato questo test. Non abbiamo i loro nomi ma solo le iniziali: B e K. In una scatola abbiamo trovato due contenitori e un fascicolo. Dentro il contenitore A del film, c’era un rullo 16mm di immagini in negativo. Dentro il contenitore B c’era un rullo 16 mm di suono sempre negativo. Il fascicolo conteneva un testo scritto a macchina. Sotto il titolo di “Comfort Station”, c’è scritto che è la traduzione di una registrazione sonora. La registrazione originale – sempre che questa esista – non era nella scatola. In una cassetta incustodita nel contenitore A , c’era un testo addizionale, che sembra essere una breve descrizione del test.

 

28 LUGLIO – Ore 21.00

Chiostro Santa Croce (Biblioteca Comunale)
Via Giulio Frisari

Performance per 2 proiettori 16mm modificati e 1 sintetizzatore – Anteprima

 

Images We Used to Make [2018, 16mm, 30 min, sound]

Sarebbe eccessivo e forse controproducente per noi mostrarvi quali immagini siamo soliti creare e come i pensieri siano stati associati o segregati in modo da causare felicità o produrre disastri, per un singolo individuo, persone o per una città.
Ma ve lo mostreremo lo stesso

 

OJOBOCA
www.ojoboca.com

 

Anja Dornieden e Juan David González Monroy sono due filmmaker residenti a

Berlino. Lavorano assieme dal 2010 sotto lo pseudonimo di OJOBOJA. Praticano assieme l’Orrorismo, un metodo simulato di trasformazione dal dentro al di fuori. Sono attualmente membri di LaborBerlin, un laboratorio filmico gestito da artisti.

 

Filmografia

The Skin is Good [16mm, 12 min, color, 2018] Comfort Stations [16mm, 26 min, color 2018] Heliopolis Heliopolis [16mm, 26 min, color, 2017] The Masked Monkeys [16mm, 30 min, black & white, 2015] Wolkenschatten [16mm, 17 min, color. 2014] Gente Perra [16mm, 25 min, color/black & white, 2014] Come and dance with me [16mm, 4 min, color, 2013] A flea’s skin would be too big for you [16mm/Super8, 47 min, color, 2013] Eigenheim [16mm, 16 min, color, 2012] The Handeye (Bone Ghosts) [16mm, 7 min, black & white, 2012] Oro Parece [16mm, 6 min, black & white, 2012] Awe Shocks [16mm, 3 min, color, 2011]

 

Performance

Images We Used to Make [2018] The Hot & The Cold [2018] New Museum of Mankind [2016] Pigs & Stones [2016] Now I Want to Laugh [2014] Apocalypse for You [2014] A Home Inside [2013] My Vomit [2012] Bi-Ey-En-Ey-En-Ey-Es [2011]

 

OJOBOCA / INSIDE OUTSIDE

Anja Dornieden e Juan David González Monroy, secondo la loro biografia ufficiale, sono una coppia di filmmaker che dal 2010 vive e lavora a Berlino sotto lo pseudonimo di OJOBOCA (letteralmente OCCHIOBOCCA). Praticano assieme quello che chiamano Orrorismo, il quale, parafrasando l’egittologo amateur I. I. Pearson, presente nelle note di Heliopolis Heliopolis (2017), appare come una sorta di elaborazione meticolosa di un una simulazione implausibile, volta ad un prolasso traumatico che includa il corpo dello spettatore e quello del film stesso, intesi come organi di senso da violare in trasmutazione epifanica.
Evidente nel loro universo l’interesse, da una parte, verso figure quali il beginner, l’amateur, il ragpicker, intesi come agenti di dislocazione, contraffazione e derisione della Storia, i loser, e dall’altra, in misura complementare, verso gli scenari cinematografici del mockumentary, beffardo ribaltamento di vérités et mensonges, del foundfootage come oggetto di scarto, orfano e anonimo, e infine dell’horror, trasognata deriva amniotica, non luogo sommerso da avita e abbagliante oscurità (Heliopolis Heliopolis).
L’orrorifico, appunto, concepito dal duo come una sorta di rituale dilettantistico, in scala ridotta – board game for beginners – ludico, perituro, defecante, impossibile, degenera l’idea di Cinema inteso come pratica archetipica. In OJOBOCA l’enunciazione filmica, il mèdium, tradotta nelle premesse di Heliopolis Heliopolis in progetto architettonico, dedalo inganno atavico, simulacro primitivo, agisce in realtà un sottogenere, il body horror o biological horror. Tale pratica filmica, proseguendo tutta una tradizione letteraria che va da Mary Shelley a Franz Kafka, fino a William S. Burroughs, deve le sue più nobili sembianze a David Cronenberg, soprattutto con Shivers (Il demone sotto la pelle), 1975 – il titolo originale sarebbe dovuto essere Orgy of the Blood Parasites – The Thing (La Cosa), 1982 e The Fly (La Mosca), 1986. I rituali del sottogenere perpetrano sostanzialmente una perdita di controllo del corpo, esposto a mutazioni e malattie, ibridazioni e aberrazioni sessuali o animali, zombificazioni, in una incondizionata dissacrazione della natura del corpo umano e animale intesi come organi biologicamente efficienti. Caratteristica fondante del genere è la rinuncia ad una qualsiasi strategia psicologica di natura proselitistica, di identificazione spettatoriale, a favore di un’esperienza sensoriale di dislocamento spazio temporale che debordi in sincope abissale.
Al centro la figura infestante, mutante, del Mostro, corpo performante, agente e non agito, demone, ministro di forze, direbbe Antonin Artaud. Citando OJOBOCA attraverso le note di Heliopolis Heliopolis e accogliendo l’idea sopracitata di trasfigurazione mediatica del termine modello – architettonico e urbanistico – in film, anche se in una prospettiva ribaltata, almeno nella gerarchia espositiva dei propri limiti di paragone, sembrerebbe che il loro cinema possegga la medesima tensione verso quella deriva letèa perseguita nel body horror: Il modello non fu mai realmente creato ma fu usato durante il rituale per indurre a uno stadio di trascendenza mentale. In questa foschia allucinatoria gli studenti erano ammaliati dall’immaginario di una città che non ricordasse né un labirinto né una torre, ma un complesso acquatico senza fine nel quale i templi, come delle isole, fluttuassero.
Nei film di OJOBOCA lo spettatore, interpellato vis-à-vis dalla presenza di una voce fuori campo, ostinatamente seducente e dallo scorrere automatico di titoli dattilografati e cartelli esplicativi, compie un’esperienza di metamorfosi, convitato ad effluire trascendentalmente nelle pieghe demoniache del sensibile, fragranza (The Skin is Good, 2018) transeunte, o come scritto in Heliopolis Heliopolis a proposito della geologia del fuori : …in canali di scolo, in attesa degli escrementi dei residenti, come melma schifosa che sbrodola dalle fauci spalancate di bestie. La pratica, il gesto minuzioso, è agita dal duo come spinta propulsiva e pervertita, fallo strozzato (Heliopolis Heliopolis) dal dentro come interiorità, psiche e conservazione al fuori come superficie, gesto e alterità. Valicare il dentro, la sensibilità psicologica, il Cinema, ebbrezza pianificata (Heliopolis Heliopolis), sfera dell’Io che domina il sentire senza farsi sensibile, senza estinguersi nell’atto di agire, significa oltrepassare i limiti della Storia e della sua costante tematizzazione, della pietrificazione archetipica del tempo, dominio di Crono. Il ricercatore J. J. Dummings propone la tesi che Heliopolis Heliopolis fosse un labirinto nel quale, sempre stando a lui, gli studenti venivano bendati e mandat nudi, coperti da grasso di anatra. Il loro scopo era quello di trovare i modelli dei principali templi della città e distruggerli. Per attuare ciò gli studenti avrebbero dovuto usare i loro corpi come torce. (Heliopolis Heliopolis). La distruzione del tempio, dell’index, passa attraverso la sollecitazione al fuori, come caduta abissale, ineffabile complessità e sete inesauribile (Heliopolis Heliopolis) ed equivale ad agire l’alterità come stadio di rivelazione, epifania, uscita dal sé e assenza. Direbbe Artaud, Per farla finita col giudizio di Dio: Tutto questo perché l’uomo un bel giorno ha fissato l’idea del mondo. All’uomo si offrivano due strade: quella dell’infinito fuori, quella dell’infimo dentro. E ha scelto l’infimo dentro.
OJOBOCA, estensione dell’occhio per mezzo della bocca, come orifizio del retto, punto di fuoriuscita, non fagocitante ma rigettante, anti-autoritario, si enuncia in forme meccanico-demoniache e agamiche, prima come simulacro orale (Heliopolis Heliopolis, 2017), musicale (Comfort Stations, 2018) e parola dattilografata (The Skin is Good, 2018). L’enunciatario si fa enunciato – erutta in un modesto screditarsi secondo Heliopolis Heliopolis – abbandonandosi lealmente all’oppressione dell’interlocuzione e così facendo diventa materia mentale, scompare demistificandosi, tracima dalla sfera del suo universo interiore, rivolta il dominio della Storia che al contrario esaurisce il carattere sensibile dell’oggetto, parlandone.
Prima di dire le preghiere della pelle, bisogna avere controllo del ricettacolo della pelle (applicativo). Ma i ricettacoli della pelle non devono mai essere toccati. Questi sono oggetti mentali. Si può solo interagire con i ricettacoli della pelle attraverso i sensi mnemonici. Come si ricorda qualcosa che non è stato mai esperito fisicamente? (The Skin is Good). Disconoscendo se stesso per mezzo di un sacro ricettacolo di brute nudità, l’intervistatore e l’intervistato bramano, nonostante la pelle li imprigioni, storicizzandoli, un divenire in forma di beato escremento. La pelle è buona, ma le sue mutazioni non sono abbastanza sublimi o perlomeno stupefacenti da ridurre l’intelletto (The Skin is Good). L’occhio-escrezione diviene barbaro, ignorante, insubordinato, fanciullo e vecchio (il fuori in Heliopolis Heliopolis), in una ripetizione meccanica nauseante e desertificante. In Comfort Stations, per un verso toilette pubblica, avviene il rito terrificante. La musica, che inizialmente tematizza dal di dentro, si estingue in un gesto disperato di sopravvivenza e così avviene che la materia fuoriesca zampillando, come urina, merda, venerando banchetto (un cartello che indica il fuori in Heliopolis Heliopolis). Emmanuel Levinas direbbe: le cose sono nude, metaforicamente, solo quando sono prive di ornamento. Le cose sonospesso delle opacità, delle resistenze, delle brutture. L’ornamento non prevede rivelazione, congelando il sensibile nel codice, nel medesimo, celebrando i monumenti della storia e di coloro che li erigono (un cartello che indica questa volta il dentro in Heliopolis Heliopolis).
In tal senso OJOBOCA pratica un rito crudele di alterità, quella forma deturpante che nel teatro di Artaud assume l’aspetto di gesto inumano, nella misura in cui, perdendo qualsiasi finalità e rifiutando ogni forma di ricompensa, deprava la rappresentazione facendosi verità, rivelazione, atto magico e putrido, esoterico e animale, sensibile e demente. Gilles Deleuze dice in un’intervista dal titolo A come Animale (Abecedario) : Si scrive per i lettori, ovvero, verso di loro, per loro, ma si scrive anche per un non lettore, ovvero al “posto di”, come direbbe Artaud nell’affermare che egli scrive per degli idioti, al loro posto, e al posto degli animali, come Hugo von Hofmannsthal che nel proprio divenire-animale diceva di sentire un topo nella gola.

[Giuseppe Boccassini]

 

Location 

Bisceglie

Laboratorio Urbano – Palazzo Tupputi
Via Cardinale Dell’Olio

Chiostro Santa Croce (Biblioteca Comunale)
Via Giulio Frisari

 

Saranno presenti gli autori
Ingresso libero